IL PICCIONE COMUNALE
Gli itinerari degli uccelli seguono migrando, verso sud o verso nord,
d’autunno o a primavera, traversano di rado la città. Gli stormi tagliano il
cielo alti sopra le striate groppe dei campi e lungo il margine dei boschi. Ed
ora sembrano seguire la ricurva linea di un fiume o il solco d’una valle, ora le
vie invisibili del vento. Ma girano al largo, appena le catene di tetti d’una
città gli si parano davanti.
Pure, una volta, un volo di beccacce autunnali
apparve nella fetta di cielo d’una via. E se ne accorse solo Marcovaldo, che
camminava sempre a naso in aria. Era su un triciclo a furgoncino, e vedendo gli
uccelli pedalò più forte, come andasse al loro inseguimento, preso da una
fantasticheria di cacciatore, sebbene non avesse mai imbracciato altro fucile
che quello del soldato.
E cosí andando, cogli occhi agli uccelli che
volavano, si trovè in mezzo a un crocevia, col semaforo rosso, tra le macchine,
e fu a un pelo dall’essere investito. Mentre un vigile con la faccia paonazza
gli prendeva nome e indirizzo sut taccuino, Marovaldo cercò ancora con lo
sguardo quelle ali nel cielo, ma erano scomparse.
In ditta, la multa gli suscitò aspri rimproveri.
- Manco i semafori
capisci? -gli gridò il caporeparto sigmor Viligelmo. -Ma che cosa guardavi,
testavuota?
- Uno stormo di beccacce, guardavo… -disse lui.
- Cosa? -e al
signor Viligelmo, che era un vecchio cacciatore, scintillarono gli occhi. E
Marcovaldo raccontò.
- Sabato prendo cane e fucile! -disse il
caporeparto, tutto arzillo, dimentico ormai della sfuriata. -È cominciato il
passo, su in collina. Quello era certo uno stormo spaventato dai cacciatori
lassú, che ha piegato sulla città...
Per tutto quel giorno il cervello di
Marcovaldo macinò, macinò come un mulino. “Se sabato, com’è probabile, ci sarà
pieno di cacciatori in collina, chissà quante beccacce caleranno in città; e se
io ci so fare, domenica mangerò beccaccia arrosto”.
Il casamento dove abitava Marcovaldo aveva il tetto fatto a terrazzo, coi
fili di ferro per stendere la roba ad asciugare. Marcovaldo ci salí con tre dei
suoi figli, con un bidone di vischio, un pennello e un sacco di granone. Mentre
i bambini spargevano chicchi di granone dappertutto, lui spennellava di vischio
i parapetti, i fili di ferro, le cornici dei comignoli. Ce ne mise tanto che per
poco Filipetto, giocando, non ci restò lui appiccicato.
Quella notte
Marcovaldo sognò il tetto cosparso di beccacce invischiate sussultanti. Sua
moglie Domitilla, piú vorace e pigra, sognò anatre già arrosto posate sui
comignoli. La figlia Isolina, romantica, sognava colibrí da adornarsene il
cappello. Michelino sognò di trovarci una cicogna.
Il giorno dopo, a ogni
ora, uno dei bambini andava d’ispezione sul tetto: faceva appena capolino dal
lucernario, perchè, nel caso stessero per posarsi, non si spaventassero, poi
tornava hiú a dare le notizie. Le notizie non erano mai buone. Finché, verso
mezzoigiorno, Pietruccio tornò gridando: —Ci sono! Papà! Vieni!
Marcovaldo
andò su con un sacco. Impegolato nel vischio c’era un povero piccione, uno di
quei grigi colombi cittadini, abituati alla folla e al frastuono delle piazze.
Svolazzando intorno, altri piccioni lo contemplavano tristemente, mentre cercava
di spiccicare le ali dalla poltiglia su cui s’era malaccortamente posto.
La famiglia di Marcovaldo stava spolpando le ossicine di quel magro e
tiglioso piccione fatto arrosto, quando sentirono bussare.
Era la cameriera
della padrona di casa: -La signora la vuole! Venga subito!
Molto
preoccupoato, perchè era indietro di sei mesi con la pigione e temeva lo
sfratto, Marcovaldo andò all’appartamento della signora, al piano nobile. Appena
entrato nel salotto vide che c’era già un visitatore: la guardia con la faccia
paonazza.
- Venga avanti, Marcovaldo, -disse la signora. -Mi avvertono che
sul nostro terrazzo c’è qualcuno che dà la caccia ai colombi del Comune. Ne sa
niente, lei?
Marcovaldo si sentí gelare.
- Signora! Signora! —gridò in
quel momento una voce di donna.
- Che c’è, Guendalina?
Entrò la lavandaia.
-Sono stata in terrazzo, e m’è rimasta tutta la biancheria appiccicata. Ho
tirato per staccarla, ma si strappa! Tutta la roba rovinata! Cosa mai
sarà?
Marcovaldo si passava una mano sullo stomaco come se non riuscisse a
digerire.