La confessió o l’esca del pecat
Josep Palau i Fabre
Josep Palau i Fabre
FORTIÀ: L'altroieri…
DIANA: Parla.
FORTIÀ: L'altroieri, dopo essermi
ritirato, mi sono inginocchiato ai piedi della Madonna per chiederle pietà e mi
è sembrato che mi ascoltasse.
DIANA: E sei ancora stupito di avermi qui di
fronte? Da questo momento non ammetto più rivali. Non tollererò che nessuno mi
sottragga uno scettro come il tuo. Sei d'accordo? Devo dirti che è lo scettro
più imperiale in cui mi sia imbattuta. E finora l'ho appena toccato. Ma ormai ce
l'ho, è mio. Vorrei vederlo, però, anche se solo in penombra. Ecco, l'ho scovato
dalla tana! Ormai è libero! Non ti ubriacare anzitempo di questa libertà. No
dilapidare il tuo oro, bisogna saperne godere. Fermati. Non fare nulla. Lascia
fare a me. Il glande è potente. Non c'è tessuto comparabile alla finezza di
questa punta. È un pugnale di seta! Siete perversi, voi uomini! Un pugnale di
seta! Lo strumento che deve squartare, che deve squarciare, che deve ferire, che
deve uccidere, è mascherato dall'apparenza stessa del suo oggetto. Che inganno!
Il nervo che è al di sotto, teso, dovrebbe servire da avvertimento per noi, ma è
nascosto. È lui a covare tutta la rabbia, tutto l'odio concentrato che provate
contro di noi. Non può fingere. Pare che stia per rompersi e per sparare. In
realtà vuole sventrarci. È la sua intensa ira a farlo gonfiare così. Mi piace
accarezzarti questo nervo con le unghie, perché, in realtà, è l'unico linguaggio
che comprende. Hai visto? Ha vibrato, come se avessi pizzicato la corda di un
violino o di una chitarra. È lui a intonare la nota più alta in questo concerto
vellutato. È disperato perché intuisce di essere caduto in un tranello. In fondo
è strano che non si stacchi da te e non si metta a sparare da solo. Vuole la
guerra. La avrà, non dubitare, la avrà. Sento, attraverso il tatto, che mi ha
sfidato, che mi sta insultando. Non bisogna perdere le staffe. Una guerra si
vince soltanto quando si è in grado di stabilire l'ora e il luogo della
battaglia. Il tuo scettro è tronfio, sprezzante, presuntuoso, ma ancora non
conosce l'alterigia del mio pube e i valichi della mia groppa. Sarà bello vedere
cosa succederà quando avverrà lo scontro. Per ora, non ti puoi lamentare, io non
faccio altro che aver cura di te e coccolarti. Afferro la tua verga come un tubo
d'acqua bollente, dentro cui scorrono milioni di instancabili formiche operaie.
Mi piace senitere questo andirivieni di fabbrica. Ma non è ancora il momento di
dar fiato alle trombe. Potresti rovinare tutto, capisci? Lo calmo un po'. Così,
poverino. Con il dito ho notato che è spuntata una lacrima di gioia trasparente,
annunciatrice dell'alluvione. È una goccia di rugiada ardente e non voglio che
vada perduta. La voglio cogliere con la punta della lingua. Delicatezza per
delicatezza. (Diana affonda la testa nel confessionale per un momento poi la
ritira in su). Ha un gusto salino, di mare. Hai sentito la punta della mia
lingua nella fessura? Cercherò di introdurla di nuovo, di allargare questa crepa
da cui presto uscirà il lievito della tua ambrosia, a fiotti. Ora non potrò più
parlarti, hai capito? Giungerai al fondo della mia gola fin quasi a sgozzarmi,
lo so. Non si deve perdere neanche una goccia del tuo nettare. So che il tuo
calice sta per scoppiare e mi sento catechizzata, sono pronta ad accogliere la
tua comunione.
FORTIÀ: Amen!
Josep Palau i Fabre, La confessione o l'esca del peccato, Palermo: Theatrum Mundi Edizioni, 2001, pp. 22-24.
Traduït per Francesco Ardolino